Di Silvia De Santis
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"Quando andavo ai rave con gli amici, mi capitava di vedere, alle prime luci dell'alba, gruppi di ragazzini che si aggiravano importunando la gente, talvolta rapinandola. Mi dissero che appartenevano agli Irish Travellers". Inizia così il viaggio di Mattia Zoppellaro tra i campi nomadi dell'hinterland londinese diventato una mostra, ora in corso al Cortona On The Move, "Appleby", presto anche un libro. I gypsies, detti anche "Pavees", sono una popolazione nomade di origini sconosciute che risiede tra Irlanda e Gran Bretagna. Una delle ipotesi più suggestive racconta che un loro antenato contribuì alla costruzione della croce su cui morì Gesù Cristo, il che condannò l'intera stirpe all'odio collettivo e al vagabondaggio secolare. Dalla loro frequentazione è nato, tra il 2012 e il 2016, un reportage fotografico, o meglio, "uno studio antropologico" realizzato alla fiera dei cavalli di "Appleby", l'appuntamento annuale nel Westmorland, in Cambria, che ogni primo giovedì di giugno richiama migliaia di rom, travellers e gipsy da Galles, Scozia, Cornovaglia.
Il luogo in cui si svolge, la collina della forca, rimanda a un passato truce, ma è una macchia ormai sbiadita. "Durante il festival, che attira decine di migliaia di persone, si assiste a una parata di cavalli che sfilano lungo viali lunghissimi. Poi, a seconda dell'interesse che suscitano sulla folla, vengono venduti in contanti, con tanto di stretta di mano e sputo". Per farsi accettare insieme alla sua macchina fotografica, Zoppellaro si è ispirato a Bruce Davidson, e alla tecnica che il fotografo americano utilizzò per realizzare i suoi lavori sugli afroamericani di Harlem. "La mia prima volta ad Appleby scattavo, tornavo in albergo a stampare le foto e il giorno dopo le regalavo ai soggetti, come feci negli anni Novanta per il reportage sui rave party".
E le subculture hanno sempre avuto un forte ascendente su Zoppellaro. "Degli uomini mi affascina la bramosia di appartenere a un gruppo, di sentirsi parte di una comunità o di sceglierla. Forse perché si scontra con la mia natura, che è più individualista", continua il fotografo. "Il diverso, ciò che più è lontano da me, e quindi imprevedibile, mi aiuta a conoscere me stesso. Le mie fotografie non sono mai indagini sociologiche, mi interessa piuttosto suscitare domande in chi guarda. E poi essere distaccati premia sempre, basti pensare che il ritratto più bello di Roma l'ha fatto Fellini che era un romagnolo". Accanto a tribù urbane e etnie, Zoppellaro ha ritratto anche rockstar come Iggy Pop, Patti Smith, Lou Reed e personaggi italiani come Vasco Rossi, Federica Pellegrini. "Per preparami all'incontro, cerco sempre di sapere il meno possibile di loro per non avere pregiudizi e coglierli sotto aspetti inediti. In fotografia si può giocare con i cliché oppure cercare di evitarli". Adesso, invece, è arrivato il turno della sua città: "Sto lavorando a un progetto su Rovigo, sulla noia, il tedio, la bellezza che può nascondersi anche dietro la nebbia". Come Eugene Richards in "Dorchester Days".

© Mattia Zoppellaro
Stephen Lee playing hide and seek
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Stephen Lee playing hide and seek

© Mattia Zoppellaro

© Mattia Zoppellaro

© Mattia Zoppellaro
Kat e Mika
http://www.huffingtonpost.it/2016/08/09/mattia-zoppellaro-appleby-cortona-on-the-move_n_11345666.html