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Marco Travaglio: “Testa di Cassese”

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>>>ANSA/ FOTOFINISH INTESA COLLE PD-PDL:AMATO,D'ALEMA E MISTER X“Testa di Cassese” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di venerdì 24 luglio.
Ci eravamo appena liberati dai moniti di Napolitano, che a ogni ora del giorno e della notte ci insegnava a vivere, ci diceva cosa fare e pensare, come andare vestiti, ma soprattutto come votare e non votare, per poi ribaltare il nostro voto se non era quello desiderato, ed ecco che a riempire quel vuoto senza che nessuno ne sentisse il bisogno, provvede il professor Sabino Cassese. È, il Cassese (l’articolo è d’uopo, come per i padri della patria e delle lettere che pure da vivi portano appresso il proprio monumento con tanto di piedistallo: l’Alighieri, il Manzoni, il Devoto-Oli), un ex giudice costituzionale e barone universitario che tenne a battesimo Giulio Napolitano, lo scalpitante rampollo di Re Giorgio, come suo assistente a RomaTre, sotto lo sguardo vigile (si fa per dire) del magnifico rettore Guido Fabiani, marito della sorella di Clio Napolitano, cioè zio di Giulio. Tutto in famiglia.
Nel 2013, prima di farsi rieleggere fingendo ritrosia, Re Giorgio tentò di scegliersi come erede al trono proprio il Cassese, che è un po’ il suo clone. Infatti ora, dalle generose colonne del Pompiere della Sera, s’è assunto il compito di monitare al posto suo. La sua forma mentis è quella tipica dell’intellettuale italiano: la forma della poltrona. La sua filosofia è riassumibile nel motto “Chi comanda ha sempre ragione”. Il che spiega perché la Consulta, durante la sua permanenza, abbia quasi sempre avallato le più svariate vergogne, firmate o financo richieste dall’amico monarca, detto “la penna più veloce del West”; e, alla dipartita del Cassese, abbia ripreso a fare il suo mestiere, cioè a bocciare le leggi incostituzionali: tipo lo scippo ai pensionati e la rapina ai dipendenti pubblici. Due sentenze che lo hanno molto amareggiato, perché danno torto ai governi che le avevano imposte per decreto, ai partiti che le avevano votate e al sovrano che le aveva siglate.
Sulle pensioni, il Cassese teorizzò che la Consulta dovesse “bilanciare i diritti e i costi” e “valutare le conseguenze finanziarie delle sue decisioni”, cioè avallare almeno un po’una legge incostituzionale per non “provocare buchi nel bilancio”. Come se la colpa del buco fosse della Corte che cassa una legge illegittima e non di chi l’ha coperto violando la Costituzione. Come se un fannullone, per mantenere la sua famiglia, iniziasse a rapinare supermercati e, una volta arrestato, rifiutasse di restituire il bottino e accusasse la polizia di minare il suo bilancio familiare.
Una corbelleria che, con la firma del Cassese, ha assunto le sembianze del dogma di fede. Sistemate la Corte e la Carta, il giurista di larghe intese s’è lanciato a giustificare il golpettino della Troika in Grecia: “Un governo – ha scritto – non deve avere solo la fiducia del suo popolo, ma anche quella degli altri governi europei”, dei “membri di quel grande condominio che è l’Ue”. Un condominio un po’ spe ciale, dove i condòmini più grossi pretendono di nominare i rappresentanti dei più piccoli e di decidere pure come devono votare alle assemblee. Ma questi per il Cassese sono dettagli, che lui giustifica con strepitose supercazzole (“Se l’Unione è una associazione a mani congiunte, può dettare le regole di comportamento per tutti i suoi membri. Per cui è sbagliato parlare di sovranità ferita e di democrazia umiliata”, “La staffetta popolo-greco-governo-greco-governi europei non è una ferita, ma un arricchimento per la democrazia”). O tirando in ballo “i padri fondatori dell’Europa” (che mai avrebbero immaginato la sua degradazione a megabancomat in mano a una Troika mai eletta). O evocando arditi paralleli con “gli Stati Uniti d’America” (che sono una confederazione di stati, non di caveau).
139nL’altroieri il Cassese ha completato l’opera erigendo un monumento equestre di saliva e di bava a Renzi: “un premier che ama l’azione, imprime velocità ai processi di decisione”, “fa e ‘fa fare’ nella macchina legislativa e amministrativa”, “è coraggioso”, parla “un linguaggio schietto, a tratti irriverente”, “a suo agio nell’ambiente cosmopolitico”, addirittura “convinto della formula degasperiana per rimediare alla debolezza dei governi, quella di unire nelle sue mani le sue posizioni, di capo del governo e di segretario del partito”. E “ha conseguito risultati insperati e ha sfidato alcuni importanti tabù in materia di lavoro, scuola e PA”. E “non è l’uomo solo al comando”, anzi. Chissà perché, forse per una certa somiglianza fisica, ci torna in mente un intellettuale piacentino del 600-700: l’abate Giulio Alberoni. Agli albori della carriera politica che l’avrebbe portato accanto a Filippo V di Spagna, l’Alberoni scortò il vescovo di Parma in missione dal comandante francese, il generalissimo Vendôme. Racconta Saint Simon che il Vendôme, rude e volgare, accolse i due prelati “mentre stava sul vaso”, da cui si alzò per “pulirsi il culo”. Il vescovo, indignato, se ne andò, mentre l’Alberoni proseguì imperterrito la missione: “Decise di piacergli a qualunque costo per assolver bene il compito… Fu dunque introdotto dal Vendôme mentre sedeva sul suo solito vaso, e seppe rallegrare la conferenza con scherzi e pagliacciate e oscenità che ebbero tanto maggior successo in quanto precedute da ogni sorta di lodi e complimenti. A un bel momento Vendôme fece davanti a lui quello che aveva fatto davanti al vescovo: si alzò e si pulì il culo. A quella vista Alberoni esclamò: ‘Oh, culo d’angelo!’ e corse a baciarglielo”

https://infosannio.wordpress.com/2015/07/24/marco-travaglio-testa-di-cassese/

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