Matteo Saudino
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di Matteo Saudino*
La sconfitta di Tsipras è tanto dolorosa e drammatica quanto netta e incontrovertibile. Altresì la vittoria della Merkel e della Troika è tanto miope e violenta quanto limpida e indiscutibile. L’accordo capestro firmato il 13 luglio è una vera e propria Waterloo politica per il governo Tsipras, il quale isolato sul piano internazionale (tutti i governi europei di centro-sinistra hanno scelto di adeguarsi alla linea politica della Germania) non ha potuto far altro che accettare, con grande senso dello stato, il diktat europeo “lacrime e sangue”, nel tentativo di provare a gestire, con mille limiti e contraddizioni, nel modo più solidale possibile una crisi che, in caso dimissioni del premier, rischierebbe di passere nelle mani naziste di Alba dorata o del centro-sinistra responsabile della corruzione e del crackfinanziario del Paese o di un governo tecnico europeo ancor più cinico e spietato.
Tsipras rappresenta ancora una flebile speranza per il popolo e i lavoratori. Il rifiuto dell’accordo avrebbe, infatti, implicato l’uscita della Grecia dall’euro con l’immediata fuga dei capitali. E nelle settimane indispensabili all’entrata in vigore della nuova dracma, la richezza del paese si sarebbe perlomeno dimezzata, gettando il paese sul baratro della guerra civile. Uscire da una moneta non è semplice come bere un bicchiere d’acqua, come sostengono gli economisti oggi di moda nelle destre nazionaliste, populiste e xenofobe, soprattutto se si tratta di un’uscita dall’eurozona unilaterale e di un solo piccolo paese con la bilancia commerciale negativa; e chi pensa Tsipras avrebbe dovuto far saltare il banco e scegliere il “Grexit” perchè tanto sarebbero intervenuti i capitali russi o cinesi passa con troppa leggerezza da ragionamenti economici e geopolitici reali a prospettive fantapolitiche, degne di un romanzo Urania. Germania e Usa permetterebbero serenamente un Paese che si stende nel Mediterraneo ed è confinante con la Turchia di diventare l’avamposto della Cina o di Putin?
Le speranze e gli entusiasmi democratici post referendum si sono miseramente infranti contro il muro di austerità eretto dalla Germania e dai suoi alleati.
Tale sconfitta ha una portata storica che va al di là del contenuto dell’accordo imposto alla Grecia. La sconfitta di Tsipras segna, di fatto, la fine della socialdemocrazia novecentesca, come progetto riformistico in grado di goverare i processi capitalistici e di costruire società fondate su un welfare state universalitico e inclusivo e sulla capacità di redistribuzione delle ricchezze a partire da sistemi di tassazione efficaci e progressivi. Ogni opzione di riformare l’Europa in un’ottica socialdemocratica è ormai impossibile.
La socialdemocrazia, a venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino, è morta e sepolta, quanto e se non di pù del socialismo reale. E ciò per almeno due motivi. In primis la quasi totalità dei partiti del socialismo riformista si sono rapidamente trasforati in partiti centristi e hanno sposato in pieno le teoria economiche neoliberiste e monetariste, scegliendo di abbandonare il proprio rapporto con il movimento dei lavoratori e di appoggiare la ristrutturazione capitalista, attuando politiche a sostengo dell’offerta per favorire l’allocazione di merci e la realizzazione di profitto. In secondo luogo (ed il caso di Tsipras e Syriza in Grecia e un domani anche di Podemos in Spagna), qualora alcuni partiti onestamente e autenticamente progressiti e socialdemocratici giungano a vincere le elezioni e ottengano il governo di uno stato nazionale, essi si trovano inseriti in una globalizzazione capitalista e in una sovrastruttura istituzionale europea dall’impianto antidemocratico, che limitano le sovranità nazionali, costringendo i parlamenti ad emanare leggi rispettose del dogma liberista del pareggio di bilancio e del conseguente taglio della spesa pubblica. Pertanto, avendo reso impraticabili ogni forma di politica economica e monetaria keynesiana, risulta impossibile attuare riforme a sotegno dei redditi, della domanda, del lavoro, dell’istruzione e della giustizia sociale. Riformismo, nell’Europa della Troika significa smantellare il welfare state e destinare risorse dal lavoro e dai redditi al capitale e alle rendite.
Con il fallimento di Tsipras fallisce l’ultimo tentativo di dare un volto socialdemocratico e progressista all’Europa. Il piccolo Davide ha provato ad indicare una via di uscita dalla crisi democratica e giusta. Ma il tronfio e cieco Golia ha scelto ancora una volta di imporre alle classi popolari austerità, licenziamenti e salari bassi. La cura imposta alla Grecia è in realtà un veleno, che la renderà un malato cronico sempre alle dipendenze della Dottoressa Gemania e del Dottor Euro. Dopo la Grecia toccherà al Portogallo, poi alla Spagna, e poi…
Le sinistre riformiste europee hanno perso l’ultimo treno per unirsi e per provare a cambiare rotta. Potevano con un sussulto di dignità e lungimiranza provare a costruire un’Europa del lavoro e dei diritti, invece i socialisti francesi, spagnoli, tedeschi e i democratici italiani hanno scelto i mercati, le banche, le Borse e Confindustria. Nonostante ciò questa Europa fallirà e non tanto perchè economicamente ingiusta, ma perchè tecnicamente e monetariamente insostenibile. Sulle macerie di questo crollo cosa sorgerà? Un impero tedesco? Una dittatura delle elite finanziarie? Nuovi regimi nazionalfascisti? Certamente non sorgeranno delle socialdemocrazie. Ma la fine di questa sinistra storica è l’inizio di una nuova stagione ed è portatrice di fertili opportunità. I semi piantati da Tsipras e Podemos devono essere raccolti, in direzione di una internazionale del lavoro e del sapere, dell’autogestione e della solidarietà, del mutualismo e dell’integrazione che rompa le gabbie dell’Europa neoliberista senza cadere sotto il filo spinato dei nazionalismi fascisti, leghisti e xenofobi, il cui antieuropeismo si nutre di razzismo e di guerra tra i poveri. Costruire una nuova sinistra europea e internazionalista è il cammino più difficile, ma è anche l’unica via realizzabile per una sinistra rivoluzionaria, ecologista, umanista, libertaria e pacifista che voglia costruire una società nuova.
Il futuro ci apparterà solo se avremmo il coraggio di criticare nella vita di ogni giorno la mercificazione del lavoro, delle nostre vite e del pianeta.
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