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DEI DELITTI E DEI LE PEN - MARINE CACCIA IL PADRE DAL FRONT NATIONAL, LUI NON VA AFFATTO IN PENSIONE: "NON SOSTERRÒ LA CANDIDATURA DI MIA FIGLIA ALL'ELISEO, E SONO PRONTO ALLA BATTAGLIA" - LA NIPOTE MARION È "SCIOCCATA", E NON VUOLE PIÙ CANDIDARSI

L'espulsione del fondatore è la bomba nucleare che rischia di fermare la corsa del Fronte Nazionale a due anni dalle presidenziali - La bella Marion, designata erede dal nonno, "non vuole essere ostaggio della guerra" - Camere a gas, femen, razzismo. Ma in realtà Marine voleva spiccare il volo senza la zavorra del padre...


1. LE PEN, "NON SOSTERRÒ CANDIDATURA MARINE ALL'ELISEO"
marine le pen con il gattoMARINE LE PEN CON IL GATTO
 (ANSA) - Il giorno dopo l'esautorazione del fondatore del Front National da parte del suo stesso partito e il conseguente "ripudio" da parte di Jean-Marie Le Pen della figlia Marine, la guerra fra i due non accenna a placarsi. L'anziano leader del Front annuncia, infatti, che non sosterrà la figlia nella sua candidatura all'Eliseo nel 2017 e che "invece di pensare alla pensione" si dedica "all'attacco". "Voglio riportare la giustizia e la dignità in un partito che finora ha fatto di questi due elementi una regola", ha detto questa mattina Jean-Marie Le Pen, al quale l'ufficio esecutivo del partito ha ritirato la tessera di aderente.
marine e jean marie le penMARINE E JEAN MARIE LE PEN

"Non ho mai parlato a nome del Front salvo quando ne ero presidente - ha replicato dopo il divieto impostogli di non parlare più per il partito - ho sempre espresso soltanto l'opinione di Jean-Marie Le Pen, che basta a sè stessa". "Mi batterò con ogni mezzo - ha continuato parlando di 'complotto' - per riportare la giustizia. Penso che molti aderenti del FN faranno sapere a Marine Le Pen, o ex Le Pen, quello che pensano".
jean marie le pen giovaneJEAN MARIE LE PEN GIOVANE

Quanto alla figlia, il futuro del Front "era nelle sue mani", ha detto il padre, ma lei "lo ha usato in modo scandaloso e io non lo accetto". E nella corsa all'Eliseo, non la sosterrà: "per ora no. Se dei principi morali del genere dovessero guidare lo stato francese, sarebbe scandaloso". Per il padre, Marine "è anche peggio" dei suoi avversari politici, perché "un avversario ce l'hai di fronte, mentre lei mi attacca alle spalle".


jean marie le pen con la nipote marion marechalJEAN MARIE LE PEN CON LA NIPOTE MARION MARECHAL
2. NIPOTE MARION LE PEN "SCIOCCATA", NON SI CANDIDA PIÙ
 (ANSA) - "Scioccata" dalla virulenza di Jean-Marie Le Pen contro sua figlia Marine durante l'ufficio esecutivo del Front National di ieri, la nipote Marion Marechal-Le Pen, che doveva presentarsi al posto del nonno alle regionali, avrebbe deciso di rinunciare. Lo ha appreso la radio RTL da un responsabile regionale del Front National.

jean marie le pen con la nipote marion marion marechalJEAN MARIE LE PEN CON LA NIPOTE MARION MARION MARECHAL
La venticinquenne che era stata di fatto designata da Jean-Marie a prendere il suo posto nella maxiregione Provence-Alpi-Costa azzurra alle regionali di dicembre, ha fatto sapere che "in queste condizioni" rinuncia a candidarsi. "Stiamo facendo il possibile per farle cambiare idea - ha detto la fonte - lei ha 25 anni e non vuole essere ostaggio di suo nonno. Si ritrova in una situazione ingestibile, derivante dalle cavolate di Jean-Marie Le Pen. E' una bomba nucleare che può esploderle fra le mani in qualsiasi momento".


3. MARINE GLI METTE IL BAVAGLIO - IL TRISTE TRAMONTO DI LE PEN
Cesare Martinetti per “la Stampa

jean marie e marine le penJEAN MARIE E MARINE LE PEN
È il 25 luglio di Jean-Marie Le Pen. Il Gran Consiglio del Font National, presieduto dalla figlia Marine, ha sospeso dal partito il vecchio patriarca e duce della Francia fascista. Entro tre mesi l’assemblea dei militanti voterà per togliergli la carica di presidente d’onore. Lui se n’è uscito con un sorriso amaro: «La politica è come la boxe». Si danno e si prendono. Ma in questo match a lui non resta che un sussulto di ironia: «Non è Freud che consigliava di uccidere il padre?».

MARINE E JEAN MARIE LE PENMARINE E JEAN MARIE LE PEN
Siamo all’epilogo di una storia politica che è stata e tuttora è una storia famigliare.
E in questi ultimi giorni il crescendo è stato spettacolare. Canal Plus ha rilanciato un’intervista di Karl Zero - una specie di «iena» della tv francese - a Pierrette Lalanne, la mamma di Marine, la donna che per sberleffo al marito e all’intera famiglia l’anno dopo il divorzio (1986) posò seminuda per Playboy.

L’intervista, realizzata nel ’98, era passata praticamente inosservata perché allora Le Pen non era che un pezzo folkloristico della Francia politica. Ora invece sentire la mamma di Marine, e cioè della donna che guida il primo partito di Francia, raccontare che il marito aveva proibito alla figlia di assistere alle trasmissioni tv che parlavano di Olocausto ha tutto un altro senso.
pierrette le pen madre di marine su playboyPIERRETTE LE PEN MADRE DI MARINE SU PLAYBOY

Era antisemita? «Ma certo, sempre, razzista e “bagarreur”, attaccabrighe, quasi ogni volta che uscivamo insieme finiva a pugni con qualcuno». Il suo sogno? «Essere riconosciuto, avrebbe fatto qualunque cosa per essere ricevuto da Chirac, voleva arrivare all’Eliseo». E se venisse eletto davvero Presidente, lei cosa farebbe? «Lascerei la Francia».

Il «bagarreur» non si è smentito. Nell’ultimo mese ha rivalutato il maresciallo Pétain e la Francia collaborazionista. Venerdì scorso altro show al tradizionale défilé del Primo maggio frontista (non ha niente a che vedere con la festa dei lavoratori) che si snoda su rue de Rivoli in uno sventolare di gagliardetti e bandiere tricolori fino alla statua d’oro di Giovanna d’Arco e si chiude all’Opéra con il comizio.
pierrette le pen su playboyPIERRETTE LE PEN SU PLAYBOY

Marine stava per cominciare a parlare, quando imprevisto e inatteso è comparso lui, davanti alla figlia, e senza guardarla, avvolto in un improbabile cappottino rosso, rivolto alla folla ha fatto il suo saluto: braccia larghe, pugni chiusi, faccia digrignante. Strappato l’applauso, è sceso, sempre senza degnare di un solo sguardo la figlia che ieri ha definito tutto questo «un deliberato gesto di disprezzo nei miei confronti». Non abbiamo reazioni del padre, ma possiamo tenere per buono un suo recente giudizio: «È una piccola borghese».

un giovane jean marie le penUN GIOVANE JEAN MARIE LE PEN
GLI INSULTI ALLE FEMEN
A tutti il gesto di Jean-Marie è parso piuttosto patetico, reso ancora poi più grottesco dal fatto che subito dopo, quando Marine cercava finalmente di parlare, dal balcone di un hotel che dava proprio sul palco, sono comparse tre femen (una di colore) a seno nudo con il braccio levato nel saluto nazista: «Heil, Le Pen!». Tre marcantoni del servizio d’ordine sono piombati sulle sventurate, sradicandole letteralmente in un tripudio di urla dei militanti frontisti delle quali una delle più gentili, e riferibili, era: «Puttana negra, vieni qui che ti sfondiamo...».
jean marie le pen con bendaJEAN MARIE LE PEN CON BENDA

Tutto questo dovrebbe logicamente ricondurre la dimensione del Front National al folklore, se non fosse che da un anno è di fatto il primo partito di Francia e solo l’alleanza con i centristi ha consentito a Sarkozy di truccare il consenso alla sua Ump nelle ultime elezioni dipartimentali elevandolo oltre la soglia del Front. Ma le cose sono più complicate, sia per Sarkò sia per Marine che in questo tragicomico epilogo famigliare sta tentando di ripulire definitivamente l’immagine del partito paterno.
jean marie le penJEAN MARIE LE PEN

Il paradosso è che mentre lei sta «de-lepenizzando» il Front, Sarkozy ha già ampiamente «lepenizzato» il suo, arrivando persino a legittimare Putin (finanziatore e supporter di Marine) nell’annessione della Crimea. La battaglia è serrata e appena cominciata. Intanto Marine, il primo maggio, ha rimesso la maschera feroce sugli immigrati prendendosela con i disgraziati boatpeople che naufragano nel canale di Sicilia: «Quanti terroristi si nascondono su quei barconi?» Chi l’aveva frettolosamente accreditata di moderazione, è servito.
MARINE E JEAN MARIE LE PENMARINE E JEAN MARIE LE PENmarine le penMARINE LE PEN

Twitter @cesmartinetti

Jean-Marie Le Pen e la figlia MarineJEAN-MARIE LE PEN E LA FIGLIA MARINEMARINE E JEAN MARIE LE PENMARINE E JEAN MARIE LE PEN



Joseph Farquharson, Winter Landscape

Len Chmiel, Rock Bottom

Willem Maris, Dusk, 1875

Henri Le Sidaner, The Canal, Delft , 1913

Adolfo Tommasi, Donne che raccolgono le olive

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L'opera di Adolfo Tommasi esposta al Museo Civico Giovanni Fattori di Livorno, rappresenta in tutta la sua bellezza un'autentica scenografia dell'esistenza della donna, simboleggia dignità, perseveranza, dedizione, femminilità, gentilezza, raffinatezza, sensualità.
E' un componimento lirico, solenne, composto con una tavolozza di colori che richiama al rispetto.
Con questa didascalia il Teatro Goldoni aderisce con forza alla giornata del NO alla violenza contro le donne.


Charles Partridge Adams, Also known as Snowy Sunset

Kazimir Malevič, "Quadrato nero", 1915

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Kazimir Malevič, "Quadrato nero", 1915, olio su tela, Museo di Stato Russo di San Pietroburgo.
BLACK FRIDAY CHE ? BECCATEVI IL QUADRATO NERO DI MALEVIC !
Un nuovo appuntamento segna l'agenda dei consumatori, il Black Friday.
Dopo aver digerito Halloween, ora tassello consumistico fondamentale tra la fine del'estate e il periodo delle feste natalizie, ci dovremo abituare anche al Black Friday che lancia di fatto il mese e mezzo di consumi che si chiuderà con la Befana (nell'attesa poi dei cuori di San Valentino, delle maschere di Carnevale, delle feste del Papà, della Mamma, delle Uova di Pasqua e poi finalmente dei ponti che ci portano verso il consumo dell'estate...).
Lanciamo anche noi il BLACK FRIDAY con il dipinto meno di consumo che si conosca: evviva il QUADRATO NERO di Malevic !



UCCISA A 16 ANNI, ARRESTATO L'EX RAGAZZO: GLI INQUIETANTI TWEET PRIMA E DOPO L'OMICIDIO

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Uccisa a 16 anni, arrestato l'ex ragazzo: gli inquietanti tweet prima e dopo l'omicidio

«Emma era una ragazza speciale, davvero altruista. Viveva per aiutare gli altri e aveva il sogno di diventare un'infermiera neonatale. A scuola aveva il massimo dei voti ed era tra le più belle cheerleader».  Questo il ricordo, pubblicato su KnoxNews.com, di Jenny Weldon, zia di Emma Walker, 16enne di Knoxville (Tennessee) uccisa la notte tra domenica e lunedì scorsi nel sonno, con un colpo di pistola, nella propria cameretta. Un'intera comunità è ancora sotto choc, e lo è ancora di più dal momento che la polizia, due giorni dopo, ha arrestato il fidanzato dell'adolescente, il 18enne William Riley Gaul, accusandolo di omicidio. La storia è stata riportata anche da Unilad.co.uk.  Lei cheerleader, lui stella della squadra di football della scuola: Emma e William sembravano la classica coppia perfetta di adolescenti statunitensi. Eppure, come testimoniano anche i familiari della ragazza, negli ultimi tempi le cose tra loro non andavano bene e Emma aveva deciso di lasciarlo, ma William non riusciva ad accettare la fine della storia.  A rendere il caso ancora più inquietante è stato il comportamento del giovane nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del cadavere di Emma, avvenuto all'alba di lunedì. Su Twitter ha deciso di ricordare con parole piene d'amore la ragazza, cambiando anche la propria biografia: «Vivo attraverso Emma. Ti amo e so che ora sei in un posto migliore».
 
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That's my beautiful Emma. Rest easy now sweetheart. 1 Corinthians 13:8. Be sure to remind God about our verse.I love you.Forever and always.

 Sempre sul social network, il 18enne ha pubblicato diversi tweet dedicati alla ragazza. In uno di questi, corredato di una lunga lettera e di una loro foto, William aveva scritto: «Questa è la mia bella Emma. Riposa in pace ora. 1 Corinzi 13:4-8: assicurati che Dio sappia il nostro verso. Ti amo. Ora e per sempre». 
 
I love you Emma, I can't be around any of that yet, it's too soon. I know you know I'm dying to be there but understand I can't. I love you.

 Questi gli altri tweet pubblicati dal ragazzo, attualmente detenuto in carcere, subito dopo la morte di Emma.
 

 Scorrendo i tweet pubblicati in passato, inoltre, ne emerge uno che, alla luce degli ultimi avvenimenti, risulta particolarmente inquietante. Il 9 novembre scorso, infatti, William aveva scritto: «Farei qualsiasi cosa per riavere tutto».
 

http://www.leggo.it/news/esteri/uccisa_16_anni_arrestato_ex_ragazzo_inquietanti_tweet_prima_dopo_omicidio-2102806.html

L'ULTIMO BACIO DELLA MAMMA PRIMA DI STACCARE LA SPINA ALLA FIGLIA 23ENNE, FOTO COMMUOVE IL WEB

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L'ultimo bacio della mamma prima di staccare la spina alla figlia 23enne, foto commuove il web

Dà un ultimo bacio alla figlia prima di staccare la spina delle macchine che la tengono in vita: la foto di una mamma di 45 anni, Suzanne Harris, ha commosso il mondo. La donna, originaria di Taunton, nel Somerset, ha pubblicato lo scatto che la ritrae mentre saluta per l'ultima volta la figlia 23enne, Kayleigh, morta tragicamente lo scorso aprile dopo essere rimasta vittima di un grave incidente. 
 
La ragazza, dopo una brutta caduta dallo snowboard mentre si godeva una vacanza sulle Alpi francesi, è andata in coma e la sua vita è rimasta legata alle macchine fino a quando la famiglia non ha deciso di lasciarla andare. È servito del tempo alla famiglia per accettare la morte della 23enne, quando sono state abbastanza forti per salutarle hanno voluto che venissero donati i suoi organi. La foto che ritrae la mamma con le sorelle mentre la salutano ha stretto il cuore di molti: «Sono felice del fatto che gli organi di mia figlia aiuteranno altre persone in difficoltà, anche se a volte, quando sono da sola, non riesco a non piangere», ha confessato la donna al Mirror. La donna ha annunciato che per lei sarà dura andare avanti, ma che dovrà farlo per amore delle 3 figlie che le restano, anche se purtroppo nulla e nessuno riuscirà mai a colmare la sua dolorosa perdita.

http://www.leggo.it/news/esteri/ultimo_bacio_prima_di_staccare_la_spina_figlia_la_foto_commuove_web-2102978.html


Looking for books in the Ghetto, Warsaw feb. 1941

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https://www.facebook.com/CelebritiesRarePhotos/photos/a.128651043963627.25535.117815121713886/337030876458975/?type=3&theater

È MORTO A ROMA VITTORIO SERMONTI, GRANDE SCRITTORE, REGISTA, ATTORE ED ESPERTO DI DANTE

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È MORTO A ROMA VITTORIO SERMONTI, GRANDE SCRITTORE, REGISTA, ATTORE ED ESPERTO DI DANTE - AVEVA 87 ANNI - LA SUA ULTIMA OPERA, IL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO “SE AVESSERO”, È STATO NELLA CINQUINA DEL PREMIO STREGA 2016 - IL SUO ULTIMO TWEET POCHI GIORNI FA, IN CUI ANNUNCIAVA CHE SI SAREBBE PRESO UNA PAUSA DAI SUOI IMPEGNI


1 - È MORTO VITTORIO SERMONTI, L'INTELLETTUALE CHE CI FECE RISCOPRIRE DANTE
vittorio sermontiVITTORIO SERMONTI

È morto a Roma Vittorio Sermonti, grande scrittore, regista, attore ed esperto di Dante. Aveva 87 anni. La sua ultima opera, il romanzo autobiografico Se avessero, uscito a inizio anno, è stato nella cinquina del Premio Strega. Il suo ultimo tweet pochi giorni fa, in cui annunciava che si sarebbe preso una pausa dai suoi impegni.

2 - LE MEMORIE (IN CAMICIA NERA) DI SERMONTI: “MI VOLEVO ARRUOLARE NELLA X MAS MA NON AVEVO ANCORA 16 ANNI E MI RIFIUTARONO. A QUEL TEMPO DI FASCISTI IN ITALIA CE N’ERANO IN CIRCOLAZIONE POCO MENO DI 45 MILIONI - ERO ISCRITTO AL PCI E MI DAVANO DEL FASCISTA PERCHE’ DICEVO DI AMARE LA PATRIA''

Luigi Mascheroni per www.ilgiornale.it del 26 maggio 2016
  
SERMONTI FASCISMOSERMONTI FASCISMO
Dalla finestra dello studio di Vittorio Sermonti, all' ultimo piano di un' elegante palazzina del quartiere Fleming, a Roma, dove vive da 35 anni con la seconda moglie, Ludovica Ripa di Meana, quando la giornata è limpida si vede persino Palestrina, giù in fondo, appoggiata sul Monte Ginestro.

E nel suo studio, stracarico di libri dietro il divanetto dove sono seduto si alza una parete dantesca, con Divine Commedie in quindici edizioni diverse, traduzioni in decine di lingue, commenti, studi e biografie parlando con Vittorio Sermonti, 86 anni, memoria stentorea e voce di ferro, s' intravede mezza storia di Italia, quella che lui ha sentito raccontare, ha sfiorato, vissuto, incrociato da comparsa o interpretato da protagonista:

il tramonto del fascismo, la guerra, il dopoguerra, il boom, il grande cinema, la grande editoria, gli anni delle ideologie di piombo, gli uomini dalle idee preziose che ha incontrato negli anni, lui che è stato, ed è, scrittore, traduttore, giornalista, regista di radio, lettore.
VITTORIO SERMONTIVITTORIO SERMONTI

Vittorio Emanuele Orlando è stato suo padrino di nascita («anche se oggi i ragazzi pensano sia solo la via del Grand Hotel»), per la casa dei nonni ha visto passare da piccolo Luigi Pirandello e Enrico Cuccia, è cresciuto con Bassani, Garboli, Delfini, Pier Paolo Pasolini, Roberto Longhi, e da grande ha lavorato con Vittorio Gassman, Carmelo Bene e il grande Gianfranco Contini...

Sesto di sette fra sorelle e fratelli Giuseppe Sermonti è genetista di fama mondiale, Rutilio Sermonti, morto l' anno scorso, è stato uno scrittore-ideologo della destra irriducibile con una vita così, prima o poi, devi fare i conti.

E i conti con la sua storia personale e con la Storia con la S maiuscola li fa con il romanzo Se avessero (Garzanti). Il cui sottotitolo, terribile, è «Opera ultima».
VITTORIO SERMONTI COVERVITTORIO SERMONTI COVER

Quando ha pensato che fosse il tempo della sua ultima opera?
«Ho cominciato a pensarlo quattro estati fa, sull' isola di Kythira, diciamo Citèra, in Grecia.
Leggevo Vita e destino di Vasilij Grossman e quel libro strepitoso e terrificante mi ha attivato l' idea di un racconto in cui il sincronismo tra le vicende di me singolo individuo e gli avvenimenti della Storia esploda e si sbricioli. E mi sono detto: devo trovare un episodio attorno a cui fare ruotare tutta la mia vita, il ridicolo e il tragico dell' unica vita che mi è toccata. E l' episodio è quello in cui un ragazzino, il ragazzino che ero a 15-16 anni, è costretto con una certa brutalità a misurare il piccolo sé con la grande Storia».

E da lì si sviluppa il racconto-ricordo, dal maggio 1945 fino agli anni Ottanta.
«È un racconto spudoratamente autobiografico, ma non è una autobiografia. È qualcosa di meno, perché dentro non ci sono gli ultimi quarantacinque anni della mia vita, e qualcosa di più perché ci sono testimonianze e emozioni che appartengono alla storia d' Europa. Sincronismi in cui, appunto, si annida il ridicolo e il tragico dello stare al mondo».

Il romanzo inizia, finisce e in fondo si svolge interamente nell' ingresso del «villinetto» di famiglia, in zona Fiera, a Milano, dove accade un episodio minaccioso e imbarazzante.
SERMONTISERMONTI

«È il maggio 1945, guerra appena finita. Suonano alla porta, si presentano tre partigiani con i mitra di traverso sullo stomaco, e tutti noi, io quindicenne, i miei genitori, le mie sorelle, i miei fratelli, ci ritroviamo nel piccolo ingresso di casa aspettando gli eventi...

Qualcuno aveva spifferato ai partigiani di aver visto entrare in casa, una sera, un uomo con la divisa da fascista. E effettivamente mio fratello maggiore era stato sottotenente di una delle divisioni della Rsi. E anche qualcos' altro... Quel giorno andò tutto liscio, perché mio fratello mostrò una tessera, posticcia, da anarchico, e si salvò, ci salvò.

vittorio sermontiVITTORIO SERMONTI
E io da allora, e per tutto il libro, mi chiedo cosa sarebbe successo a me, alla mia famiglia, alle persone che hanno incrociato le nostre vite, se avessero sparato a mio fratello».

Se avessero è un bel titolo per un romanzo. Ma la sua risposta è terribile: non sarebbe successo niente.
«Da quel lontano maggio ho preso in considerazione tutte le ipotesi, anche quella di morire io al posto di mio fratello e diventare così un eroe: i morti in guerra, imparai presto, erano oggetti eroici ed erotici, piacevano molto.

E alla fine sono giunto alla conclusione che se avessero sparato a mio fratello sarebbe cambiato il mondo ma nessuno se ne sarebbe accorto. Tanto per citarmi, ripeto una frase del romanzo: Non contiamo niente, perché ognuno conta purtroppo tutto. Nulla sarebbe cambiato. Ecco una piccola verità».

Una delle verità che il libro racconta è che la sua fu una famiglia fascista. Fascista suo padre, repubblichini i suoi fratelli, giovanissimo balilla lei stesso che si presenta in una scuola-caserma della X Mas «nel fermissimo intento di lasciarsi arruolare».
vittorio sermonti marino sinibaldi e dino zoffVITTORIO SERMONTI MARINO SINIBALDI E DINO ZOFF
«Ma non avevo compiuto 16 anni, e mi rifiutarono. Comunque il fatto che io come tutti gli italiani, o quasi, fossi e mi vantassi fascista, non fa notizia. Io sono cresciuto dentro una famiglia fascista, quella di mio padre, inoculata dentro una famiglia, quella di mia madre, di a-fascisti più che di antifascisti. Mi creda: la mia impressione di ragazzino era che a quel tempo di fascisti in Italia ce ne fossero in circolazione poco meno di 45 milioni...»

Poi tutti sono diventati improvvisamente altro.
«Salire sul carro del vincitore è quasi naturale. Non ho mai visto nessuno, in 87 anni di vita, salire sul carro del perdente. Comunque, alcuni hanno fatto la conversione in modo brusco e interessato, altri attraverso percorsi più complessi e generosi...

RUTILIO SERMONTIRUTILIO SERMONTI
Parlo anche di me? Il fascismo divenne sempre più difficile da sopportare durante la guerra: fame, freddo, bombe, almeno questo mi è sembrato di capire con la testa di un ragazzino, hanno reso la maggior parte degli italiani insofferenti al fascismo, fanatizzando gli altri pochi».

Suo fratello è rimasto fascista. Repubblichino, fu tra i fondatori dell' Msi e poi fu accusato di essere il punto di riferimento di un' associazione clandestina neofascista...
«Il suo fu un fascismo, come dire?, strutturale, che nasce con lui e si trascina fino alla sua morte. Ma voglio dire una cosa.

È vero: sui vent' anni mi sono staccato da lui, praticamente non ci sentivamo più, e questo non solo e non tanto per ragioni ideologiche, ma per una radicale differenza nel fronteggiare l' avventura dello stare al mondo. Gli ho voluto bene come si vuole bene a un fratello maggiore: era biondo, bello, mi insegnava la botanica e l' anatomia, quando facevamo la guerra a cuscinate coi miei fratelli gemelli stavo sempre con lui, e vincevamo sempre. Anch' io salivo sul carro del vincitore...»

Le manca?
LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTILUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI
«Mi manca da tantissimo tempo».

Attorno al legame con suo fratello nel romanzo si intrecciano ricordi e riflessioni sui suoi amori giovanili e sull' Amore, sul sesso, sul rapporto padre-figlio, sul concetto di borghesia, sulla guerra.
«E sulle guerre in generale, sulla scuola, sulle mie letture, Dante in primis ovviamente, passione che ho ereditato da mio padre, e poi sul teatro, sulla musica, sull' Italia... Ecco: l' amore d' Italia, altra cosa che mi ha insegnato mio padre.

Poi nei decenni ad amare questa patria ti davano del fascista, anche se eri iscritto al Pci: io, in effetti, passai dalla parte del nemico, e nel '56, prima dei fatti di Ungheria, mi iscrissi al partito, dopo l' Ungheria me ne andai, anche se poi per anni e anni ho scritto sull' Unità. E sull' amicizia, sul mio Novecento...»

E sulla scrittura. Che nel romanzo è complessa, curatissima, complicata persino.
SERMONTISERMONTI
«La scrittura è tutto. Lo stile è tutto».

È in finale allo Strega. Cosa pensa dei premi letterari?
«Me lo chieda dopo».

3 - VITTORIO SERMONTI: "CHE PENA PER MIO FRATELLO, IDEOLOGO DEI BRIGATISTI NERI"
Caterina Pasolini per www.repubblica.it del 24 dicembre 2014

"Tutto questo mi dà dolore e pena. È mio fratello, accusato di terrorismo. Un'intelligenza sprecata, rimasta ferma agli anni del fascismo. No, non vorrei proprio doverne parlare". Vittorio Sermonti, scrittore, dantista, è fratello di Rutilio, 94 anni, arrestato dai carabinieri con l'accusa di essere l'ideologo del gruppo neofascista Avanguardia Ordinovista. Scultore, avvocato e storico, dopo aver scelto la Repubblica di Salò, finita la guerra, Rutilio è tra i fondatori del Msi che abbandonerà ritenendolo troppo morbido con la Dc per passare qualche anno nelle fila di Rauti. Sempre fedele nei suoi saggi e nei suoi interventi, puntellati da accenni al duce e ai camerati, agli anni della sua gioventù.
LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTILUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI

Se l'aspettava?
"No. L'ultima volta che ci siamo visti è stato sette anni fa e la volta prima altri sei. Incontri rari, ma le sue idee politiche non sono mai state un segreto".

Una lontananza per scelta?
"I rapporti di consuetudine sono spariti da tempo ma non abbiamo mai veramente litigato. Semplicemente non ne potevo più di sentire le stesse stupidaggini".

Troppo diversi?
"Da giovane lui ha scelto la Repubblica Sociale, io mi sono iscritto anni dopo al Pci, ma sono rimasto un uomo abitato dal dubbio. Lui no, era ossessionato, fermo negli anni a quel mondo".

Fermo al fascismo?
100 sirc38 GIUS SERMONTI DILETTA PETRONIO100 SIRC38 GIUS SERMONTI DILETTA PETRONIO
"Era un uomo intelligente, dotato, con capacità artistiche che purtroppo si è fermato ai suoi 24 anni e per altri settanta la sua intelligenza è rimasta immobile".

Ha letto la costituzione scritta da suo fratello?
"Ho reticenza a parlarne, mi costa fatica, mi sembra un cumulo di scemenze".

Sta scrivendo un libro: "Se avessero sparato a mio fratello ".
"Il titolo, provvisorio, richiama la mattina in cui i partigiani entrarono nella casa di Milano dove stava Rutilio, pronto ad affrontarli con spavalderia e furbizia. In realtà l'ho scritto nell'84, ma continuo a lavorarci, non mi sembra mai pronto. È la storia della mia vita dai 15 anni agli 84. Ed è una vita intrecciata a quella di mio fratello".

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/morto-roma-vittorio-sermonti-grande-scrittore-regista-attore-ed-136397.htm

SALE SUL RING PER LA PRIMA VOLTA MA VA IN COMA PER I COLPI ALLA TESTA: PUGILE MUORE A 22 ANNI -FOTO

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Sale sul ring per la prima volta ma va in coma per i colpi alla testa: pugile muore a 22 anni -Foto

di Rachele Grandinetti
È finito in tragedia un incontro di boxe lo scorso sabato: Kuba Moczyk, polacco trapiantato in Gran Bretagna, è salito sul ring per il suo primo match ma non è andato oltre il terzo round. L’avversario lo ha messo ko. Al di là del cartellone, sono stati i colpi inferti sulla testa e le ferite che gli hanno fatto perdere completamente i sensi. Il pubblico di Great Yarmouth era lì per assistere ad un combattimento e invece ha assistito all’inizio della fine della vita di un 22enne. Il giovane è stato immediatamente trasportato al Paget Hospital James a Gorleston dove i medici non hanno potuto che constatare uno stato di coma. Kuba ha vissuto nell’incoscienza, attaccato ad un respiratore per cinque giorni. Poi la stampa inglese ha dato l’annuncio: il pugile è morto. 
 
I ripetuti colpi alla testa dell’avversario 17enne gli hanno procurato un danno cerebrale fatale. Un portavoce dell’ospedale ha raccontato che al momento del decesso il padre era al suo capezzale ed ha deciso di donare gli organi del ragazzo. Great Yarmouth Borough Council ha confermato che il luogo dove è avvenuto il combattimento aveva la licenza per organizzare eventi di pugilato. Tuttavia, si legge nel comunicato, «spetta agli operatori degli eventi garantire salute e sicurezza oltre alla valutazione dei rischi in corso e di ciò che ne consegue». Il Tower Complex, luogo dell’incontro maledetto, per il momento non rilascia alcun commento.

http://www.leggo.it/news/esteri/sale_ring_la_prima_volta_ma_va_coma_colpi_testa_muore_pugile_di_22_anni_kuba_moczyk_foto-2103340.html

TREND / Massimiliano Falcone : Il pensiero rizomatico

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Massimiliano, possono convivere nella moda Caterina de'Medici, le geishe e le ragazza dello Studio 54?
Bella domanda...certamente! Se vuoi la risposta dobbiamo parlare della collezione 2016/17 di Alessandro Michele per Gucci. Il mantra di Michele è coltivare l'inatteso. Che poi inevitabilmente dobbiamo trarre dalla filosofia il suo immaginario creativo, dai quadri rinascimentali all'estetica delle geishe, fino ad arrivare alla ragazza dello Studio 54, Gucci manda in corto circuito lo spazio e il tempo.
E' un po' come parlare diverse lingue?
Sì, con tanti suoni. O come quando vai in rete e si trovano tante comunità e tipi di linguaggi. Lo stilista crea medaglioni del settecento, pavoni , vecchi divani ricamati, antichi ritratti di dame...elementi che fanno parte del suo mondo, in perfetta armonia con l'amore assoluto per il dettaglio che si fonde con la passione per l'arte.
Una donna eclettica? libera?
Gucci rielabora una donna apparentemente agli antipodi. Bella la ragazza bon ton con l'abitino verde mare, completato da calze, scarpe borsa e foulard in tinta.....sorprendente la donna groupie anni '80 con il tailleur pantalone indossato a pelle. Mi piace la signora in broccato che sembra appena uscita da un quadro di Holbein.
Prima parlavi di filosofia. Perché tirarla in ballo per una collezione di moda?
Attenzione, una collezione di moda può comunicare un pensiero filosofico e uno stilista raffinato come Alessandro Michele descrive nel suo processo creativo un pensiero. Lo spirito di questa collezione è il pensiero rizomatico del filosofo francese Deleuze. Un pensiero, che si sviluppa disordinato e che si nutre di concatenazioni che creano molteplicità attraverso un continuo cambiamento. Un po' come una stanza delle meraviglia da aprire lentamente, per non farci travolgere dalle troppe emozioni. Grazie a Gucci ho riscoperto Deleuze, una scuola e Gucci l'ha frequenta.



foto GUCCI FW 2016/17 credits vogue

SEX SYMBOL / Alessandro Preziosi

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E' nato a Napoli e prima di fare l'attore si laurea in legge. Poi studia recitazione. Lavora in diverse serie tv; ma la popolarità arriva con Elisa di Rivombrosa. Al cinema l'abbiamo amato nel film I Vicerè, Mine vaganti e Maschi contro femmine. E'stato uno dei protagonisti della serie tv I Medici appena andato in onda con grande successo. Dal 29 novembre sarà nelle sale con il film L'amore rubato di Irish Braschi, una storia di ordinaria violenza.







Caso Beatrice Di Maio, e se la cyber-propaganda fosse a Palazzo Chigi?

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Caso Beatrice Di Maio, e se la cyber-propaganda fosse a Palazzo Chigi?



Luca Lotti ha presentato denuncia contro il profilo twitter di Beatrice Di Maio sapendo che quel nome celava un’altra identità: quella di Tommasa Giovannoni Ottaviani detta Titti, nonché moglie di Renato Brunetta. È lecito pensarlo. Come è lecito sostenere che la sua denuncia, arrivata sette mesi dopo rispetto al tweet incriminato, è stata recapitata in poche ore al quotidiano La Stampa che l’ha poi divulgata costruendole attorno una “rete di cyber propaganda del Movimento 5 Stelle” sulla quale “la procura indaga”. Insomma una notizia vera (la denuncia di Lotti) usata per costruire una notizia falsa (indagine su M5S). Notizia falsa poi cavalcata dal Partito Democratico per presentare delle interrogazioni parlamentari contro “la macchina del fango M5S”. Tempi, modi, attori: tutto rientra nel classico schema del “dossieraggio” nel quale sono dunque in qualche modo coinvolti un esponente importante del governo (Lotti), il partito di maggioranza (il Pd) e un quotidiano nazionale. Questo è quanto si può ricostruire e vedere oggi. Altri attori o soggetti sono stati coinvolti nei singoli passaggi ma al momento non sono ancora stati individuati con certezza. Ma è solo questione di tempo perché la “rete” (questa sì, reale) ha commesso alcuni errori.
Va detto che il quotidiano torinese ha sicuramente agito in buona fede. Forse è stato semplicemente usato, strumentalizzato. Insomma sembra aver preso la più classica delle “polpette avvelenate”. Capita e può capitare. Peccato però che invece di riconoscerlo e impegnarsi a scoprire se un rappresentante dello Stato ha utilizzato strumenti illeciti per individuare un profilo twitter e screditare con una notizia falsa un avversario politico, fa finta di niente e addirittura arriva a scrivere (questa mattina) che il collegamento tra Beatrice Di Maio e la cyber propaganda contro M5S non lo avevano ipotizzato loro, ma i parlamentari del Pd. Già. Si legge nell’articolo: “Nulla a che vedere con il Movimento, come invece avevano ipotizzato i parlamentari del Pd negli scorsi giorni”. Sembra di vivere in 1984 di George Orwell, quando descrive come si modificano i giornali del passato in funzione di ciò che è utile nell’oggi. Ma ognuno fa il proprio mestiere come crede, figurarsi. Privilegio questo che invece non può valere per i componenti del governo e per i parlamentari. Ed è per questo che la vicenda di Beatrice Di Maio non può essere archiviata con una risata.
Andiamo con ordine. Mercoledì 16 La Stampa pubblica un articolo con questa titolazione: “Ecco la cyber propaganda M5S, la procura indaga sull’account chiave. Algoritmi, false notizie, bufale. Palazzo Chigi denuncia per diffamazione”. Tutte notizie poi rivelatesi false: l’account chiave sarebbe quello di Beatrice Di Maio, che non ha alcun collegamento con M5S; la procura non indaga su nulla e di certo non su una rete di cyber propaganda visto che ancora non è reato fare propaganda politica; Palazzo Chigi non ha denunciato nessuno. L’unica notizia vera si trova nel testo dell’articolo: Luca Lotti ha querelato il profilo twitter di Beatrice Di Maio perché si è sentito diffamato da un tweet che lo definiva indirettamente mafioso. Punto. Nient’altro. E che in quella denuncia non ci sia altro lo rivela lo stesso avvocato di Lotti, Alberto Bianchi, al Fatto. Inoltre, dice il legale, l’atto è stato presentato martedì 15 ai Carabinieri di Firenze. Quindi come può La Stampa il mercoledì 16 scrivere che “la procura indaga”? È materialmente impossibile. Le date rivelano un altro aspetto importante: Lotti querela Di Maio per un tweet pubblicato sette mesi prima, cioè il 7 aprile. Questo.
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Facendo una semplicissima ricerca sia attraverso Google sia su Twitter, in quei giorni l’intercettazione “abbiamo le foto di Delrio con i mafiosi” era apparsa ovunque. Per ovvi motivi. Ma su Twitter tantissimi utenti ci hanno ironizzato o l’hanno usata in vari modi. Non solo Di Maio. C’è chi ha fatto peggio. Il profilo del Secolo d’Italia, il quotidiano web della destra italiana, ha messo la foto di Delrio con Renzi che lo indica ridendo. E tanti altri.
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Eppure Lotti chi querela sette mesi dopo? Il profilo di Beatrice Di Maio. Solo lei. Che poi si scopre essere gestito da chi? Dalla moglie di Brunetta, oppositore principale dell’esecutivo Renzi. Quindi diciamo che o Lotti è stato molto fortunato e denunciando un utente a caso (nonostante avesse poco seguito) ha smascherato la consorte dell’avversario politico, oppure è andato a colpo sicuro. Abbiamo tentato di parlarci ma negli ultimi due giorni ha avuto altri impegni. Eppure sarebbe utile sapere direttamente da lui se era al corrente della vera identità dell’account al momento della denuncia. E se sì come l’ha scoperto? Ancora: è al corrente di come la sua denuncia sia passata in poche ore dai Carabinieri a La Stampa? E se è stata accompagnata da altri documenti, studi, relazioni, informative che collegavano Di Maio alla rete di cyber propaganda M5S, come ha scritto il quotidiano torinese? E se sì, sa chi li ha aggiunti e messi in relazione?
Da ultimo aiuterebbe conoscere in quali modi e tempi Emanuele Fiano – e gli altri parlamentari che hanno presentato le interrogazioni sulla base dell’articolo de La Stampa gridando alla “macchina del fango M5S” – sono stati avvisati o spinti ad agire. Perché ancora una volta i tempi lasciano pensare che tutto sia stato ben scandito. Denuncia, articolo, interrogazioni parlamentari, dichiarazioni di esponenti del Pd. E tutto su una notizia falsa, una bufala: l’indagine di una procura sulla cyber propaganda M5S. Notizia falsa spacciata per vera e finita persino su Le Monde e il Guardian. E usata dal Pd per dire che la macchina del fango è quella del movimento di Grillo.
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d.vecchi@ilfattoquotidiano.it

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Giornalista

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CHE SFIGA PER MARIANA RODRIGUEZ: LEI SI SPOGLIA IN TV E I LADRI LE SPOGLIANO LA CASA - IRINA SHAYK AVVISTATA IN COMPAGNIA DI BRADLEY COOPER - VINCENT CASSEL TRESCA CON LADY GAGA?

Uma Thurman pare abbia fatto pace con il milionario imprenditore alberghiero André Balazs, con il quale era già stata insieme per tre anni: sono stati visti amoreggiare in quel di St. Barts - Riconciliazione anche tra Jennifer Lopez e il ballerino Casper Smart, che l’aveva tradita con Sofia Vissa, “transexual bikini model”…



mariana rodriguez6MARIANA RODRIGUEZ6
1 - MONDO NEWS
Carlo Mondonico per Novella 2000

MARIANA RODRIGUEZ: SPOGLIATA E DERUBATA
Mentre Mariana Rodriguez lunedì sera mostrava tutta la sua bellezza e la sua sensualità in diretta su Rai 1 nello show di Carlo Conti Si può fare, qualcuno ha svaligiato la sua casa di Milano. Dopo essere entrati dalla finestra del quarto piano, i ladri le hanno messo a soqquadro tutto l’appartamento, portandole via numerosi gioielli di famiglia e un orologio prezioso regalatole dal suo ex fidanzato.
mariana rodriguez 8MARIANA RODRIGUEZ 8

Dall’armadio di Mariana sono sparite anche le numerose e costose scarpe che lei colleziona ormai da tempo. E chissà che i ladri, prima di sparire con la refurtiva, non si siano goduti la sua performance di burlesque in Tv comodamente seduti sul suo divano. Non è la prima Vip a essere derubata mentre è fuori casa. Anche la sua quasi omonima Belen Rodriguez aveva subito un furto nel suo appartamento milanese perché aveva postato su Facebook di essere partita per l’Argentina. L’ennesima coincidenza che le lega.

TUTTI FAMOSI GRAZIE AL GF
luca argentero myriam cataniaLUCA ARGENTERO MYRIAM CATANIA
Il partito dei personaggi  diventati famosi con il Grande Fratello si ingrossa. Non ci teneva a ricordare gli esordi in Tv nella Casa del reality Luca Argentero, l’ha seguito Flavio Montrucchio, quindi è capitato il turno di Francesco Testi. Infine pure l’attore Simon Grechi, vero nome Simone Falsaperla, ora concorrente di Si può fare, lo show di Rai 1 di Carlo Conti, non ci tiene e lo fa pure sapere. Cara Alessia Marcuzzi, nella prossima edizione del Gf, se ti serve un giornalista come concorrente, verrei volentieri io. Non me ne pentirei.

2 - SUSSURRI & GRIDA
Ivan Rota per Novella 2000
monica bellucci ma vincent casselMONICA BELLUCCI MA VINCENT CASSEL

CASSEL CANTA CON GAGA
Inusuale la frequentazione tra Vincent Cassel, ex marito di Monica Bellucci, e Lady Gaga. I due sono stati visti fare baldoria a casa di Julianne Moore a Los Angeles e poi sono fuggiti insieme nella notte.

WURTH-SCANU, LITE DI CARTA
Io per tutte le volte che ti incontrerò ti sorriderò (ma soprattutto mi tapperò la bocca)». Giorgia Wurth risponde così a Valerio Scanu su Facebook dopo la bufera social che ha coinvolto lei e il cantante-naufrago de L’isola dei famosi. Tutto è nato dalla notizia, data in questa rubrica, sul fatto che la bella attrice nei corridoi Mediaset aveva scambiato Scanu per Marco Carta.
gabriele parpiglia e valerio scanuGABRIELE PARPIGLIA E VALERIO SCANU

«Gaffe che tra l’altro ho subito chiarito con Marco Carta privatamente», scrive ora Giorgia. «Marco è stato un signore e, come è naturale, si è fatto una bella risata e la cosa è finita lì (credevo!). Invece no. Ci pensa Scanu su Twitter ad alimentare la questione. Risultato: io divento la cattiva, la bugiarda, la colpevole. E tutte, cartine e scanine, giù a insultarmi. Sbadata sì, smemorata pure, ma bugiarda o arrivista no».

UN CECCHINO PER IRINA
Dal calciatore più forte al divo più figo. La top model russa Irina Shayk, ex di Cristiano Ronaldo (stella del Real Madrid), è stata avvistata del New York Post insieme con Bradley Cooper, pluricandidato agli Oscar (quest’anno per il ruolo del cecchino in American Sniper), a vedere il musical Finding Neverland a Broadway. I due si sarebbero conosciuti tramite amici comuni.
irina shaykIRINA SHAYK

UMA, JLO E L’USATO SICURO
Primavera ricca di ritorni di fiamma a Hollywood. Uma Thurman pare abbia fatto pace con il milionario imprenditore alberghiero André Balazs, con il quale era già stata insieme per tre anni: sono stati visti amoreggiare in quel di St. Barts. Riconciliazione anche tra Jennifer Lopez e il ballerino Casper Smart, che l’aveva tradita con Sofia Vissa,  “transexual bikini model”.
il culo di jennifer lopezIL CULO DI JENNIFER LOPEZ

http://www.dagospia.com/

“La mia vita da mercenario assoldato dalle compagnie per sparare ai pirati”

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Il racconto di un estone: «Costiamo meno dei militari regolari. Per 3 mila dollari risolviamo problemi, anche con mezzi illegali»
Ci sarebbe un miliardario giordano dietro alla società che utilizza quattro navi e oltre 300 mercenari per la lotta contro i pirati in tutto il mondo

INVIATO AD ANVERSA
Veniva chiamato… come veniva chiamato? Non lo so, non fatemene una colpa. Innanzitutto tra noi non c’era intimità, uno incontrato in un bar vicino al porto di Anversa, un locale sporco, odore di birra da poco prezzo, un ragazzo dal colore giallo di meticcio stava lavando il pavimento, in un angolo una donna dagli occhi apatici, una prostituta, aspettava, già alle nove del mattino, qualche cliente disperato. 

E poi lui, quando si presentava, tirava fuori sempre nuove identità. A me ha dato il nome di battaglia, Lembitu, un eroe estone del Medioevo che aveva combattuto contro i re danesi, mi ha spiegato.  

Ma chissà quanti ne aveva di questi nomi di battaglia, uno per porto e per contratto, a Gibuti, in Sri Lanka, in Sud Africa, ad Aden. Allora per noi sarà per sempre Lembitu, mercenario estone e cacciatore di pirati, capace di raccontare storie selvagge e terribili di guerra e di mare. Perché mentre cinque o sei flotte internazionali pattugliano pigramente l’Oceano Indiano al costo di tre milioni di euro al giorno e il problema dei pirati somali è ufficialmente risolto, Lembitu su una nave di mastini della guerra assoldati in mezzo mondo, e pagati dagli armatori, dà loro la caccia senza rispettare leggi e regole internazionali, semplicemente per ucciderli.  

Ho incontrato molti combattenti duri, senza pietà, li riconosco dal volto, torva espressione di cacciatori di uomini dalle labbra compresse e dallo sguardo aguzzo. Eppure fin dall’inizio, ad Anversa, avevo la certezza che lui fosse un uomo avido di recitare la propria biografia come un attore recita una parte. Ricordo, e ricorderò a lungo, l’incontro con l’estone. Si aprì e si chiuse in quel caffè del porto come una ferita. Questo è il suo racconto. Da ascoltare con gli occhi chiusi. 

AFP
(Gli assalti dei pirati sono un fenomeno in calo a livello globale. Ma in alcune zone, come in Asia, sono aumentati nell’ultimo anno)  

«…Hai sentito che freddo fuori? Dio, se mi capitasse di trovarmi di nuovo in una buona tempesta di neve, di quelle del mio Paese! Giuro che mi spoglierei nudo e mi rotolerei dentro. Quando ero in Afghanistan con il contingente estone ci gettavamo nella neve senza niente addosso. E quegli stronzi di afghani intirizziti nelle loro palandrane ci guardavano con gli occhi fuori. Ma non erano solo risate. L’Afghanistan sono montagne e le montagne se fai la guerra sono una gran fregatura. Tutto quello che ti serve devi portartelo dietro, ti servono munizioni e infili caricatori di zinco e mezza cassa di granate in tutte le tasche, nello zaino, le appendi alla cintura. Ti segano all’inguine e alle cosce, ti pesano sul collo.  

Adesso, da quando lavoro in mare, son solo luoghi caldi. Troppo, alla malora. Non posso più soffrire il mare. Non riesco a guardarlo senza sentire l’odore di quella nave schifosa, il tanfo del gabinetto otturato. Stiamo sempre in mutande, o nudi, a 42 gradi, i volti sfatti, le guance setolose, tutti scuri come negri, anonimi, puzziamo. Proprio una bella tribù di guerrieri. 

E pensare che la prima volta che ho visto la nave “Ohio” mi era sembrata proprio a puntino. Forse era merito del mare, di quel mare. L’Oceano Indiano è diverso da quello delle mie parti, fosco, scuro, avvolto da nebbie. Ah, se me lo ricordo il primo giorno di ingaggio. Mentre su un gommone, all’alba ci avvicinavamo, la “Ohio” ci aspettava al largo dello Sri Lanka in acque internazionali fuori dalla curiosità della legge, il mare ancora dormiva oppresso dal grande caldo umido e pesante. Un vapore gravava su quella distesa immensa di silenzio. Poi in pochi minuti il cielo si arrossa, il mare diventa di madreperla, sonnolento, sotto il sole di fuoco riflette il cielo blu che gli assomiglia ma un poco più pallido. Una massa grigia con brillanti righe rosse dipinte sul fumaiolo e sulle murate si stacca davanti a noi. Dai, è quella. Cacciapirati “Ohio”, quarantacinque metri di ferraglia appena verniciata, trecento tonnellate messe insieme negli Anni Ottanta nei cantieri giapponesi come guardiacoste e un’enorme scritta in nero “Sea Man guard”. Il guardiano del mare. Così da lontano sembrava davvero una vera nave da guerra di qualche marina ufficiale. Era quello il primo trucco, l’avrei scoperto poi.  

REUTERS

Tre giorni avevamo aspettato la chiamata in quel sudicio albergo di Colombo. L’aria anche di notte si incollava alla pelle come una mano molle. Gli altri, gli altri ingaggiati, li avevo riconosciuti subito tra i clienti: grossi, i movimenti a scatti tipici dei militari, gli zaini enormi con dentro tutta la vita, c’erano altri due estoni e alcuni inglesi. Per me era la prima volta e non volevo farlo capire. Ancora non ci credevo. La “Advant Fort” aveva risposto alla mia richiesta di ingaggio! Tremila dollari al mese depositati sul conto in banca che gli indichi tu e sarebbero stati quattromila se fossi stato capo team. Ma non avevo titoli sufficienti, c’era gente lì che aveva fatto almeno un paio di guerre vere, reduci o disertori della Legione, ex Sas, qualche russo degli Spetnaz. Sono tempi duri, c’è troppa domanda, migliaia che si offrono per qualsiasi cosa preveda un fucile in mano e la possibilità di sparare e così quei bastardi della “Advant fort” possono offrire contratti da fame. 

Bella storia, stai a sentire. C’è un miliardario giordano che vive in Inghilterra, il signor Samir Farajallah, che fonda una società per distruggere i pirati nell’oceano indiano senza badare ai mezzi. Ha trecento mercenari, quattro navi, una sede in Virginia con ammiragli americani in pensione e gente dell’intelligence navale nel consiglio di amministrazione. Tanto per avere le spalle coperte. Gli armatori di tutto il mondo lo pagano perché costa meno dell’ingaggio dei militari regolari e garantisce i risultati. Con ogni mezzo. 

Insomma, per raccontarti come è andata: mando la richiesta, un estone che si occupa degli arruolati del mio Paese mi contatta via Skype, mi arriva il biglietto aereo per Colombo ed eccomi qui. Ti verremo a cercare, aspetta. E infatti: saliamo a bordo della “Ohio”, il ponte sembra bello, è lustro, non c’è ruggine. La nave rulla ma in modo bonario, è piena di scricchiolii familiari. Lo scafo sembra solido e parla di viaggi che dobbiamo fare insieme e delle fatiche sopportate sulle strade del mare antiche come il mondo e nuove come i passaggi che lo solcano. Siamo una trentina di militari da molti posti, più o meno tutti parlano l’inglese. E poi ci sono sei uomini dell’equipaggio più il capitano, tutti indiani. Accoccolati a poppa gli indiani parlano tra loro fitto fitto, a voce bassa, fino a notte tarda. 

Ma era sotto coperta che c’erano i guai. Nessuna doccia, l’acqua te la rovesciavi addosso, acqua gialla, puzzolente, non filtrata che dovevi usare anche per lavarti i denti, dopo tre giorni tutti avevano la dissenteria, il gabinetto otturato, odore acre di sudore che si fonde coi fetori soliti delle stive. E faceva così caldo, il termometro sale ogni giorno, i soli girano, i giorni mentre tagliamo i fusi orari finiscono per fondersi in un’unica luce appannata e abbagliante che acceca gli occhi. Così abbiamo cominciato a tuffarci in mare. Il capitano ci ha avvertito, attenti ragazzi non li vedete ma qui è pieno di squali. Chi se ne frega. Il giochino era chi non si butta è un coniglio e allora per non perdere la faccia giù in acqua. Il cibo era uno schifo totale, riso con dentro le formiche che camminavano e il cuoco, un criminale, che diceva: ma non siete contenti? Son tutte vitamine in più.  

Sai: non si diventa amici su una nave così; ci si è divide a seconda dei gruppi nazionali, si sta con gli estoni. E poi di che vuoi parlare? Di donne, delle ore a mostrarsele sui telefonini, quella più nuda e quella più puttana. Su una cosa tutti d’accordo, essenziale è non conoscere la donna con cui si va, non ha che da esser questo: sesso, l’altro sesso.  

C’era una playstation sulla nave, che lusso, e si faceva ginnastica sul ponte per ore: per stancarsi, per far passare il tempo. Raccontano che la compagnia ha un’altra nave che fa solo appoggio in mare ovvero porta viveri e munizioni ai “cacciatori” come la “Ohio”, si chiama “Sultan”, la comanda pare un italiano e tiene a bordo anche la moglie nigeriana, uno splendore. Dicono che ci sia internet a bordo e una palestra, io non l’ho mai vista e forse son solo cazzate. 

La nave è come il carcere: dopo tre giorni sai tutto degli altri e gli altri di te, come reagiscono alla fatica, quello che non si lava perché l’acqua è sporca e quello che non si lava perché è un sudicio. Ci sono dei pazzi lì, un inglese che ogni tanto saltava sul ponte urlando e cominciava a sparare raffiche di mitra in tutte le direzioni. Ci sono anche le notti, in mare. Senti che tutto dentro di te si indurisce, si attorciglia, e si mette in guardia. Gli occhi vedono meglio, l’udito si affina come nei gatti. La tensione è alta, ti aspetti tutto e sei pronto a tutto. 

C’è il momento in cui ti accorgi che sei entrato nella zona calda, ci siamo e cominci a pensare: cazzo, sei solo su questa nave schifosa abbandonato da tutti, se ti succede qualcosa ti pagheranno? Saltano i nervi, scoppiano risse feroci per una parola, qualcuno resta a terra nel sangue, e il capo sta a guardare. 

Vivi con i tuoi pensieri, la nave ti entra nel sangue, diventa tutto per te, esci dalla realtà, non hai nulla da fare se non sparare a qualcuno che non sai chi è, il mondo diventa diverso, non so come spiegarti, non tutti ce la fanno, esser un militare non basta. Hai paura, sì, lo sai che fai cose illegali e puoi essere arrestato. E allora ti ripeti: ma sì quelli son pirati, se possono ti uccidono e allora, chissenefrega, spara. 
Adesso vuoi sapere del nostro lavoro: quello normale è la scorta sulle navi, una squadra di tre uomini sale armata e già questo è al limite delle regole della navigazione. Guarda che non è uno scherzo. Salire a bordo per esempio: i mercantili non rallentano per caricarti, il tempo è denaro per gli armatori e allora accosti con un gommone una nave che se è vuota naviga a quindici nodi e cerchi di tirarti su con una scala di corda che ti gettano dalle murate alte come un grattacielo. Se non sei attento e svelto il movimento delle onde ti inchioda tra la fiancata e il barchino. Gambe fracassate, se sei fortunato. 

Ma quello è niente. Un giorno il capo, un inglese alcolizzato, ex Sas, comincia a gridare: attivazione! Attivazione! Eravamo davanti a Merka si vedevano le casette bianche. Eravamo dunque armati in acque territoriali somale. Qui incrociamo altri barchini dei pirati, più a nord ci sono quelli di Eyl che si fanno chiamare «guardiacosta somali» e quelli di Haradere, i «marines somali». Che stronzi. Allora: attivazione! Ve la facciamo vedere noi, marines.  

Prendiamo le armi e corriamo alle murate. Davanti a noi c’è una piccola imbarcazione, sembra un peschereccio, i colori squamati dal tempo. Pirati? Non so come ne fossero certi, erano in contatto radio con la centrale della compagnia, può darsi che quelli abbiano informazioni. Comunque chi li conosce? All’ordine cominciamo a sparare all’impazzata. Per questo ci pagano, no? In mare il colpo singolo lo dimentichi, i cecchini se li mangia il movimento delle onde. Quello che devi fare è scaricare trenta colpi, tutto il caricatore, a raffica, senza prender fiato. 
Dal barchino mi pare che rispondano al fuoco, sì, sono colpi che fanno risuonare le fiancate della “Ohio”. Ma dura poco, ormai il battello somalo è così sforacchiato che si è inclinato. Non si vede più nessuno. Fine. «Tutti sotto coperta - grida l’inglese - tutti sotto coperta branco di fottuti. Non so: forse non vuole che assistiamo al controllo dei morti. E al dopo: il fuoco o un buco nella stiva per far affondare il battello. Non bisogna lasciar tracce. Tre volte abbiano attaccato i «pirati». 

Una volta, da lontano, prima di sparare mi è sembrato che sulla barca si agitassero dei ragazzini. “Ferma”, ho detto a un altro estone che stava accanto a me, non sparare, sono bambini. “Idiota, non sai che i somali addestrano i ragazzini alla pirateria spedendoli a fare da esca controllando se le navi sono armate? Spara prima che ti ammazzino loro”.  

Una notte il capitano era ubriaco: ha cominciato a gridare andiamo a divertirci un po’. Abbiamo virato verso terra, si vedevano luci sulla costa poi una più piccola in mare che ondeggiava al moto delle onde. Abbiamo iniziato a sparare come se fossimo pazzi, caricatori su caricatori, gridavamo come belve, come se su quella barca ci fossero tutti i guai e i fantasmi della nostra vita. Spero fossero davvero pirati perché non è rimasto molto di loro. La lucina si è spenta. Silenzio». 

http://www.lastampa.it/2016/11/26/esteri/la-mia-vita-da-mercenario-assoldato-dalle-compagnie-per-sparare-ai-pirati-Sy8aEnJcYDjzSQrkYuWiFN/pagina.html

Ha muerto un luchador antifascista, un republicano, un poeta.

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Ha muerto en joven antiguo, le llamaron Marcos Ana, como hijo de jornaleros le dieron el nombre de Fernando Macarro Castillon.

Muy joven decidio marcharse a luchar contra el fascismo que amenazaba la España Republicana. No tenía más de 15  años, cuando asumia el compromiso con la humanidad, al decidir ingresar en las Juventudes Socialistas Unificadas.

La guerra la encontraste de solo 15 años, cuando marchaste de voluntario al frente. Te hiciste pronto comunista y consecuente a tu condición combatiste hasta el final al enemigo fascista.

El fascismo le robo los años, pero te hizo poeta, en las áridas horas del encierro. 23 años de encierro te deparaba la victoria de la barbarie, en la sangrante España. La que defendiste de los enemigos de la humanidad.

En 1961 la dictadura tuvo que abrir su celda y dejar que buscarás nuevamente el mundo que te habían robado.

Una parte de España, la que no ha decidido por el olvido sino por la memoria, te recuerda y segura buscando en la memoria su historia, esa que se han pretendido robar como tus años. Una España que se levanta del silencio, del olvido, para no dejar que se pierdan su historia.


No enterrarán tu nombre...
Arderá en mi palabra,
lo subiré a mis labios de la pena más viva,
escarbaré en el llanto
y hundido en sus raíces te subirá en sus hombros
mi voz al nuevo día

Fernando Macarro Castillo (Marcos Ana)
(Alconada, Salamanca, 20 de enero de 1920 - Madrid, 24 de noviembre de 2016)

P.P.

 Giovanni Barbera

Tina Lagostena Bassi, l’avvocata delle vittime di stupro

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ELLI SENSI PECORA 

Foto dall'archivio de L'Unità
Foto dall’archivio de L’Unità
Chi è: Tina Lagostena Bassi, nata Augusta Bassi, avvocata italiana, nata a Milano il 2 Marzo 1926.
Cosa ha fatto: nei primi anni Settanta iniziò una collaborazione con il ministero di Grazia e Giustizia e divenne nota per la sua agguerrita difesa dei diritti delle donnenelle aule dei tribunali: rappresentò Donatella Colasanti, vittima del massacro del Circeo. Nel 1978 rappresentò la 18enne Fiorella nel processo che fu poi raccontato nel celeberrimo documentario “Processo per stupro”, realizzato dalla regista Loredana Rotondo per mostrare all’opinione pubblica cosa poteva accadere a una donna che denunciava abusi sessuali, trattata da colpevole nelle aule giudiziarie. Il documentario, mandato in onda due volte, fu seguito da oltre 10 milioni di spettatori.
Perché è “pasionaria”: difendendo Fiorella, Tina Lagostena Bassi insistette nell’introdurre la parola “stupro“, per imporla alle coscienze al posto della terminologia più generica di “violenza sessuale”, che in quegli anni (e fino al 1996) era ancora un reato solo contro la morale e non contro la persona. L’idea di documentare un processo per stupro fu di una programmista della Rai, dopo il “Convegno internazionale sulla violenza contro le donne”, organizzato dal movimento femminista a Roma quello stesso anno, in cui emerse che ovunque nel mondo, quando aveva luogo un processo per stupro, la vittima si trasformava in imputata. La giovane Fiorella non fece eccezione. In numerose occasioni, mentre veniva interrogata dai difensori dei suoi aggressori (“quattro bravi ragazzi, sposati e con prole”), la ragazza subì degli intollerabili attacchi che miravano a dipingerla come una persona dalla moralità non irreprensibile. Molti interventi degli avvocati miravano unicamente a sottolineare che, se non c’era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, Fiorella doveva essere certamente stata consenziente. Tina Lagostena Bassi dovette ricordare che lei in quell’aula non aveva il ruolo di difendere la parte lesa, ma quello di accusatrice degli imputati. La condanna fu lieve: poco più di un anno, con scarceramento immediato grazie alla libertà provvisoria e una multa di 2 milioni di lire, ma con quel processo non si chiedeva giustizia solo per Fiorella, ma per tutte le donne violentate, costrette a patire in tribunale un prolungamento della violenza già subita.
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Avv. Angelo Palmieri, arringa:
“Lei non dice che le hanno fatto violenza e non può dirlo, perché non ci sono i segni.”
Avv. Giorgio Zeppieri, arringa:
“La violenza c’è sempre stata […] Non la subiamo noi uomini? Non la subiamo noi anche da parte delle nostre mogli? E come non le subiamo? Io oggi per andare fuori ho dovuto portare due testi con me! L’avvocato Mazzucca e l’avvocato Sarandrea, testimoni che andavo a pranzo con loro, sennò non uscivo di casa. Non è una violenza questa? Eppure mia moglie mica mi mena. È vero che siete testimoni? Siete testi? E allora, Signor Presidente, che cosa abbiamo voluto? Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Avete cominciato con il dire «Abbiamo parità di diritto, perché io alle 9 di sera debbo stare a casa, mentre mio marito il mio fidanzato mio cugino mio fratello mio nonno mio bisnonno vanno in giro?» Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.”
pasionarialogo
Avv. Tina Lagostena Bassi, arringa:

“Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […] Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori «Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!» Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire «non è una puttana». Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza.” 
Elli Sensi Pecora
Cantante per passione, psicologa per vocazione, gattara per devozione. Adora le auto gialle e girare per il Campidano in moto, detesta i fronzoli e i giri di parole. E' femminista da quando un maschio villoso le disse che doveva radersi le ascelle per ragioni igieniche.
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